Dal furto d’identità al trolling: il ruolo non marginale dell’esibizionismo (“La Voce” di Rovigo) di Patrizia Trapella* e Luca Massaro** Il sorprendente progresso tecnologico degli ultimi anni offre a noi esseri mortali opportunità spazio-temporali a dir poco incredibili: dialogare in visione diretta tramite skype con interlocutori distanti migliaia di chilometri; partecipare a un social forum – tecnicamente “postare” che significa scrivere un messaggio in uno spazio comune su internet esprimendo un’opinione o un commento – in tempo reale (fuso orario permettendo e non) interagendo con persone anche di altri continenti; scambiarsi in pochi istanti materiale documentale e/o fotografico, anche copioso, in gmail; guardare filmati singolari e di qualsiasi tipo in You-tube … Bene. Questo l’aspetto positivo. L’altra faccia della medaglia – come sempre, quando si tratta di attività umane, l’uomo trova il modo di liberare le tendenze di comportamento socialmente meno inibite – è rappresentata dalla possibilità che malintenzionati facciano uso dei predetti mezzi tecnologici per scopi non-sociali. Magari entrando proprio negli spazi internet riservati. Il furto d’identità, la sostituzione di persona e l’uso di dati personali (generalità), anche di personaggi famosi, a scopo di frode o solamente per arruolare un alto numero di persone tra gli amici, sembrano essere i reati più diffusi in Facebook. Ricordiamo che Facebook è uno dei più battuti social network al mondo con diverse centinaia di milioni di utenti (alcune decine di milioni sono italiani) in cui ogni personaggio famoso o esercizio commerciale che si rispetti, pubblicisticamente parlando, possiede il proprio spazio. Cosa succede? Accade che un giorno qualcuno entra nello spazio personale di un altro e ne utilizza o capziosamente si procura le informazioni personali (nome e cognome, indirizzo, codice fiscale, numero di telefono di casa, luogo e data di nascita, nomi dei genitori, nome dei figli, luogo di lavoro, carta di credito, ecc.) per ottenere semplicemente più fama o più seguito in Facebook o per vere e proprie frodi. Al di là del problema dei professionisti o pseudo professionisti del reato (frode ad esempio) che lasciamo al codice penale e alla Polizia postale, quello che sembra emergere prepotentemente e trasversalmente in tutte le forme di comunicazione di massa e tra queste certamente internet assume un posto di rilievo, è un incoercibile desiderio di essere protagonisti (individualisti, dal punto di vista evoluzionistico). A qualsiasi costo. Pensiamo al cosiddetto trolling cioè il provocare reazioni di protesta nella rete (internet) attraverso messaggi o siti provocatori. Ricordate la notizia di qualche tempo fa su quel sito di Facebook in cui gli scriventi volevano uccidere le persone down, evocando un forte e immediato sentimento nazionale di sdegno? Perché provocare proteste di questo tipo? Perché scrivere, sempre in Facebook, di voler uccidere questo o quest’altro? O di odiare quello e quell’altro? O di non sopportare il tal dei tali o quel programma televisivo? Sembra più interessante chiedersi perché accadono questi fenomeni e non come fermare tutto questo. E-s-i-b-i-z-i-o-n-i-s-m-o! Ricerca esasperata di protagonismo in un mondo che raffredda sempre più i rapporti interpersonali e avvicina le persone sconosciute grazie a portentosi mezzi tecnologici. Individualismo camuffato da buoni propositi o propositi affettivamente neutri. Qualche giorno fa in Cile un ladro aveva tentato di rubare goffamente la borsetta di un’anziana signora lungo una strada. Alcuni passanti erano intervenuti e il ladro, immobilizzato, era stato denudato. Alla fine era giunto un agente di polizia che lo aveva arrestato. Ci chiediamo: dove finiva la solidarietà nei confronti di una signora malcapitata e dove iniziava invece la voglia di protagonismo, se al termine della buona azione, il ladro è stato collegialmente denudato e il tutto è stato ripreso mediante il telefonino e immesso immediatamente in You-tube? Dovere di cronaca di una buona azione o esibizionismo? *avvocato penalista **medico legale con master in criminologia e psichiatria forense. Entrambi Membri della Harvard Associates in Police Science, Baltimore.
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